Di recente mi sono soffermato a riflettere sull’origine del termine “Commercialista”.
Ho provato a fare una rapida ricerca su internet, cercando di capire l’origine di questa parola, ma senza successo.
E allora ho pensato: “Commercialista” deriva probabilmente da “diritto commerciale”, ossia da quella branca del diritto privato che, per dirla con Wikipedia, studia nei suoi vari aspetti l’attività imprenditoriale e l’esercizio dell’impresa, sia ad opera del singolo, sia ad opera di un gruppo organizzato quale una società o un consorzio. Al diritto in parola pervengono altresì gli studi sull’azienda, sulle procedure concorsuali, sulla regolamentazione dei contratti d’impresa, eccetera.
E, infatti, l’ordinamento della professione di Dottore Commercialista, di cui al D. Lgs. 28/06/2005, n. 139, prevede che ai Dottori Commercialisti sia riconosciuta competenza specifica in economia aziendale e diritto d’impresa e, comunque, nelle materie economiche, finanziarie, tributarie, societarie ed amministrative.
E allora perchè, mi domando, nell’immaginario collettivo il Commercialista è una figura che si occupa esclusivamente di tenuta della contabilità e calcolo delle imposte?
Forse perchè, dagli anni ’70, con la riforma tributaria di Ezio Vanoni, la fiscalità ha assunto un peso sempre più rilevante nell’attività d’impresa.
Ma, oggi, la spinta informatizzazione che caratterizza l’assolvimento degli adempimenti tributari fa sì che i professionisti che continuano ad occuparsi esclusivamente di contabilità e fisco finiscano per ritagliarsi un ruolo di “impiegati dello stato con la partita IVA”. Infatti, non vedo quale valore aggiunto possa essere fornito al cliente da un professionista che si limita a fornire un servizio che deriva da uno specifico obbligo di legge (cioè tenere la contabilità e pagare le imposte).
Inoltre, la sovroabbondanza di professionisti di questo tipo fa sì che tra di essi si scateni la “guerra dei prezzi”: è noto che il cliente non percepisce che c’è modo e modo di tenere una contabilità o di redigere un modello UNICO. Per lui, una contabilità è una contabilità, punto. E quindi, a meno che non abbia bisogno anche di servizi di consulenza specifica, cercherà il commercialista che pratica il prezzo più basso, senza sapere che ciò andrà, con buona probabilità, a scapito del servizio che acquista.
A mio modesto parere, invece, il Commercialista deve essere un esperto in amministrazione d’azienda, laddove questa nozione include certamente la tenuta della contabilità ma anche (e soprattutto) la redazione dei bilanci e la relativa interpretazione, in seguito ad un’opportuna riclassificazione dei risultati.
In base ai risultati di bilancio, infatti, va impostata la futura strategia aziendale, correggendo la rotta ove si riscontrino inefficienze e dando luogo ad una opportuna programmazione dell’attività (fissazione degli obiettivi) e al susseguente controllo della gestione (verifica dei risultati).
Inoltre, il Commercialista deve essere un esperto in finanza; deve conoscere quali sono i presupposti che un’azienda deve possedere sul piano quantitativo, qualitativo e del rapporto andamentale per ottenere finanziamenti dal mondo bancario; inoltre, spesso cura, in affiancamento al proprio cliente, i rapporti con le banche finanziatrici.
Ancora, il Commercialista deve gestire l’aspetto tributario, da intendere non solo come consulenza finalizzata al massimo risparmio fiscale lecito, ma anche come cura dei rapporti con le Agenzie fiscali, soprattutto in occasioni di ispezioni e verifiche o nei procedimenti di accertamento e nelle procedure contenziose.
Infine, il Commercialista deve essere un profondo conoscitore del diritto d’impresa e deve guidare l’imprenditore nell’effettuazione delle scelte più opportune in materia societaria.
Quale deve essere, dunque, la figura del Commercialista, oggi?
Essa, attese le turbolenze che oggi più che mai caratterizzano la congiuntura economica, si deve manifestare come quella di un professionista completo, ossia di un vero e proprio consulente aziendale, che affianca l’imprenditore nelle scelte più delicate, che presiedono alla sopravvivenza e alla prosperità del complesso produttivo.
Il discorso fila alla perfezione. Tanti commercialisti possono essere considerati a tutti gli effetti “impiegati dello stato con la partita IVA” mentre altri cercano di dare il loro valore aggiunto completando la figura di un professionista che in Italia non può mancare. Il problema per tante piccole imprese e privati è proprio quel “non può mancare”, perché pagare le tasse dovrebbe essere una cosa semplice.
Detto questo sono da ammirare i professionisti che si pongono in questo modo, cioè come consulenti aziendali a tutto tondo.
Saluti.
Sono molto d’accordo, ma direi non impiegati dello Stato ma servitori dello stato e della clientela. Però mi chiedo e vi chiedo, chi è stato a permettere tutto questo? Dove sono quelli che ci devono tutelare? e continuiamo a pagare puntualmente i salati contributi senza sapere se domani possiamo usufruirne…
Francesco Citraro