Partiamo da una considerazione semplice, magari banale, che forse tendiamo a dimenticare: la banca presta dei soldi e vuole che le vengano restituiti con gli interessi.
Ora, se fossimo noi al posto della banca, presteremmo dei soldi a chiunque? Oppure vorremmo prima sapere se il richiedente è in grado di restituirli?
Ebbene, un sistema di rating serve proprio a questo: tracciare un profilo del richiedente (borrower), al fine di attribuire un voto (rating) al suo merito creditizio (credit standing). Per fare questo, come abbiamo visto in precedenti interventi, vengono presi in considerazione gli aspetti quantitativi (bilancio d’esercizio), comportamentali (andamento dei rapporti con il sistema bancario), ma vanno anche considerati altri due aspetti fondamentali: l’identità del richiedente e lo scopo della richiesta.
Quanto al primo aspetto, l’indagine della banca verte su due livelli:
Livello Micro
Chi è il richiedente? È un neofita o un imprenditore navigato? È già cliente della banca o è un nuovo cliente? L’azienda è una start up o un’azienda già esistente? Qual è il modello di governance? Ditta o società? Chi sono i soci e gli amministratori? Come è distribuita la “catena di comando”? Fa parte di un gruppo di imprese? È un’azienda a base familiare o meno? Si è in presenza di fenomeni di passaggio generazionale? Le funzioni amministrative sono svolte in proprio o delegate a terzi (ad esempio: al commercialista)? L’azienda possiede un sistema di controllo interno? Chi governa l’azienda ha competenze finanziarie o si dedica all’aspetto puramente operativo (come nel caso del piccolo commerciante o dell’artigiano)? Dette competenze vengono formalizzate in piani e programmi di gestione?
Livello Macro
In quale mercato opera l’azienda? È un settore in espansione o in declino? Come si posiziona l’azienda in quel settore? È leader o follower? Qual è il suo vantaggio competitivo? Esistono barriere all’entrata? Esistono economie di scala? L’impresa è inserita in un distretto produttivo? Ha sottoscritto contratti di rete?
È chiaro che l’analisi posta in essere dalla banca mira a dettagliare il grado di rischio a cui l’istituto erogante va incontro prestando denaro a quel determinato richiedente.
Quanto al secondo aspetto: cosa farà l’imprenditore con il denaro ottenuto in prestito dalla banca? Sarà in grado di correlare correttamente fonti e impieghi? Oppure commetterà il madornale errore di finanziare investimenti di lungo periodo con esposizioni a breve termine? In altre parole, l’impiego del denaro preso a prestito è tale da generare cash flow sufficiente per la restituzione di capitale e interessi?
Per la cronaca, quanto poc’anzi detto in tema di scopo della richiesta lascia facilmente intendere il motivo per cui una richiesta di fido “di cassa” (o di ampliamento dello stesso) venga sempre vista con sospetto dalle banche.
In definitiva, la conoscenza degli elementi qualitativi dell’analisi condotta dalla banca nell’ambito della propria istruttoria è importante al pari dell’analisi quantitativa e andamentale e, anzi, possiede forse una “marcia in più”, in quanto è in grado di modificare la percezione del rischio da parte della banca. E la percezione di un minor rischio può far pendere (e di molto) l’ago della bilancia a favore del richiedente. Ma in che modo? Ne parleremo nel prossimo articolo.