La crisi finanziaria globale degli anni 2008 – 2010 ha condotto la dottrina aziendalistica ad attribuire una sempre maggiore rilevanza agli indici di performance finanziaria di bilancio, sia a seguito delle restrizioni sul merito creditizio conseguenti agli accordi interbancari di Basilea, sia a causa dell’elevato numero di fallimenti registratisi a partire dal suddetto periodo, fenomeno quest’ultimo che ha condotto in tempi recenti all’elaborazione dei segnali di emersione precoce della crisi aziendale.
In quest’ottica, nel corso degli anni è stata attribuita crescente considerazione, nelle analisi di bilancio, alla posizione finanziaria netta, oggetto di un interessante studio della Fondazione Nazionale Commercialisti.
Il presente contributo vuole definire, in termini estremamente pratici, le finalità e l’utilizzo del suddetto indicatore.
In primo luogo, per comprendere la significatività del suddetto parametro, bisogna porre attenzione al modo in cui esso si determina. In breve, la posizione finanziaria netta si calcola successivamente a una riclassificazione dello stato patrimoniale con il cosiddetto “criterio funzionale”, in cui cioè le attività e le passività vengono distinte in operative e finanziarie; successivamente si procede, in estrema sintesi, a calcolare la differenza tra le passività finanziarie e le attività finanziarie, distinguendo tra voci correnti e non correnti; in tal modo, si perviene alla determinazione della posizione finanziaria netta (PFN). Per gli opportuni approfondimenti si rinvia alla definizione di posizione finanziaria netta contemplata dal principio contabile OIC n. 6, dedicato alla ristrutturazione del debito e alla correlata informativa di bilancio.
Ebbene, una volta effettuata la riclassificazione con criteri funzionali, si perviene al pregevole risultato di aver scomposto lo stato patrimoniale in sole quattro grandezze: dal lato dell’attivo avremo le immobilizzazioni (o fixed assets) e il capitale circolante netto (o working capital); dal lato del passivo avremo il patrimonio netto (o equity) e la posizione finanziaria netta (o debt), distinta in corrente e non corrente, ossia in scadenza rispettivamente entro e oltre i 12 mesi.
La riclassificazione così operata ci permette l’immediato riscontro della corretta correlazione temporale tra impieghi e fonti e ci consente di definire facilmente la regola dell’equilibrio finanziario:
- l’attivo fisso deve essere finanziato da patrimonio netto e PFN non corrente (o di medio – lungo periodo);
- il capitale circolante deve essere finanziato da PFN corrente (o di breve periodo).
Se dal confronto dei valori di attivo e passivo così riclassificati emerge che la semplice regola poc’anzi illustrata non viene rispettata, siamo in presenza di uno squilibrio finanziario potenzialmente pericoloso per la continuità aziendale.
Approfondiamo il concetto: posto che di rado nelle realtà aziendali italiane, soprattutto in quelle di minori dimensioni, si riscontrano situazioni in cui l’attivo fisso è finanziato interamente dal patrimonio netto, il rispetto della regola di equilibrio finanziario richiede che il finanziamento delle immobilizzazioni sia coperto, oltre che da capitale netto, anche da passività consolidate, ossia da PFN non corrente. Se invece la somma di patrimonio e debito non corrente si rivelasse insufficiente a coprire il valore dell’attivo fisso, avremmo che la parte rimanente del valore degli asset patrimoniali sarebbe coperta da PFN corrente, ossia la cui restituzione ai finanziatori avviene entro i 12 mesi, a fronte di un “tempo di ritorno” più lento degli assets, dando luogo a situazioni di tensione finanziaria.
In secondo luogo, un’altra grande qualità della posizione finanziaria netta come indicatore di performance è quella di contribuire alla definizione di quello che nella terminologia anglosassone è definito amount matching, ossia l’ammontare massimo di debito che un’impresa può contrarre. Infatti, la PFN nel suo complesso (corrente e non corrente) individua l’importo del debito finanziario da restituire; orbene, la riclassificazione funzionale dello stato patrimoniale costringe il lettore ad interrogarsi sulla effettiva recuperabilità degli importi iscritti nell’attivo. Come ottimamente illustrato nel citato studio della Fondazione Nazionale Commercialisti, la PFN può essere utile ad individuare il grado potenziale ed effettivo di liquidabilità delle attività a fronte del livello di esigibilità delle passività dell’impresa. Ciò in quanto il debito finanziario è una fonte di capitale destinata a finanziare gli investimenti, siano essi fixed assets o working capital, e la sua possibilità di restituzione dipende sempre dal valore recuperabile dei beni iscritti nell’attivo.
Tuttavia, può accadere (e sovente accade) che i valori contabili iscritti nell’attivo non sempre coincidano con il loro valore recuperabile; nella migliore delle ipotesi, ciò avviene a causa delle incertezze insite nella variabilità delle condizioni di mercato; nell’ipotesi peggiore, invece, ciò avviene a causa di poco oculate politiche di bilancio volte a sovrastimare artificiosamente l’attivo.
In altre parole: l’attivo può mentire, il passivo no. E
allora, un indice “brutale” come la posizione finanziaria netta spesso mette
l’imprenditore (e i suoi consulenti) di fronte a una realtà scomoda di cui
prendere atto, costringendolo a non procrastinare situazioni patologiche e ad
intervenire prontamente con iniezioni di liquidità qualora l’attivo
patrimoniale, riscritto al valore di realizzo, sia inferiore al debito
finanziario in essere o, nei casi peggiori, a porre l’impresa in liquidazione
volontaria prima che sia troppo tardi.