E vaccino fu.
Dopo mesi di attese, finalmente, prende forma il piano vaccinale che, entro il mese di settembre 2021, dovrebbe consentire di metterci l’incubo COVID alle spalle.
Viene da chiedersi, dunque, quale situazione avremo di fronte nel momento in cui potremo smettere di parlare di “economia di sopravvivenza” e cominceremo a parlare seriamente di reboot economy.
Il mio timore è quello di trovarsi di fronte ad una situazione analoga a quella vissuta da molti a ogni fine lockdown, in cui i meno accorti hanno passato il tempo a sfornare torte e pizze fatte in casa, accumulando chili su chili, trovandosi infine a dover rendere conto ad una impietosa bilancia. Cosa c’entra, direte voi. E mica siamo tanto lontani da una situazione del genere. Solo che, anziché parlare di chili di troppo, parliamo di debiti.
Ebbene, in ambito finanziario, il rischio è quello di trovarsi di fronte ad aziende che hanno accumulato debiti finanziari indotti dalle varie misure di emergenza governative emanate nel corso dei mesi; c’è da immaginare che il peso della “finanza d’urgenza”, cumulato all’aumento dei debiti verso fornitori in seguito al riscadenzamento degli stessi nel periodo emergenziale e alle dilazioni sui debiti fiscali e previdenziali darà luogo, al momento di riavviare i motori, all’ipertrofia della voce “debiti” dello stato patrimoniale.
Con questo non si vuole condannare chi, impossibilitato o fortemente rallentato nel portare avanti la propria attività (es. gestori di palestre, piscine, discoteche, alberghi e ristoranti), si è visto costretto, per tirare avanti, ad aderire ad aiuti finanziari che, in epoca COVID, hanno indubbiamente fatto la differenza tra continuare ad esistere o chiudere bottega.
Ma proviamo a immaginare cosa potrebbe ragionevolmente accadere nei momenti in cui, finalmente, le attività potranno riprendere senza le restrizioni dovute all’emergenza sanitaria.
In primo luogo, che si tratti di azienda industriale o commerciale, si dovrà reimpostare la politica di approvvigionamento scorte.
È ovvia considerazione quella per cui chi si è trovato a subire un rallentamento a causa della crisi sanitaria ha necessariamente ridotto o addirittura azzerato l’acquisto di materie prime o di merci; all’atto della ripartenza, dunque, costoro dovranno programmare cosa e quanto acquistare per rimpinguare il magazzino.
In secondo luogo, è anche ragionevole attendersi un incremento dei crediti verso clienti (a meno che non si parli di commercianti al dettaglio, che incassano a pronti); infatti, la ripresa dell’attività porterà sì un aumento del fatturato, ma è improbabile che si riesca ad incassare prontamente l’intero corrispettivo del venduto; è ragionevole anzi pensare che, per venire incontro alle esigenze di “respiro finanziario” della propria clientela, si possa concedere un maggior numero di giorni di dilazione rispetto all’epoca pre – Covid.
Senza dimenticare il fatto che una parte dei crediti verso clienti già iscritti in bilancio potrebbe essere riferito a una clientela anch’essa in difficoltà a causa delle conseguenze della pandemia e, dunque, potrebbe essere difficilmente recuperabile nell’immediato, causando un aumento dei giorni di dilazione concessi (sempre che non si renda addirittura necessario ricorrere a procedure di recupero).
Ceteribus paribus, eventuali fornitori lasciati in sospeso faranno pressione per rientrare delle proprie spettanze dopo mesi di dilazione concessa in ragione dell’emergenza sanitaria.
Insomma: pur non volendo generalizzare e ammettendo altresì che quello testé illustrato possa considerarsi uno scenario piuttosto pessimistico, in linea generale potremo trovarci in una situazione in cui l’aumento delle scorte e dei crediti verso clienti, se non adeguatamente controbilanciato da un aumento dei debiti verso fornitori, potrebbe tradursi in un aumento del capitale circolante netto operativo.
E l’aumento di CCNO, si sa, va finanziato.
Infatti, l’aumento dei crediti verso clienti e delle scorte di magazzino assorbe liquidità, mentre l’aumento dei debiti verso fornitori genera liquidità. Se non incassa dai clienti e nel contempo acquista scorte di magazzino, all’imprenditore servono soldi. E dove prende i soldi l’imprenditore? O aumenta i debiti verso fornitori (e quindi non paga subito, ma a 30 – 60 – 90 – 120 gg.) oppure, per la parte non finanziata dai fornitori, deve correre in banca, sempre che non decida di immettere risorse proprie in azienda.
E la banca, come noto, è un imprenditore fortemente avverso al rischio (tant’è che, come sappiamo, nella maggior parte dei casi si blinda mediante il rilascio di garanzie).
Ebbene, mettiamoci nei panni di chi, in banca, valuterà i documenti che l’imprenditore presenterà all’atto della richiesta di fido per finanziare l’aumento di CCNO. Siamo seri: chi finanzierebbe un’azienda che presenta la voce “debiti” dello stato patrimoniale fortemente appesantita dal susseguirsi di moratorie, da nuovi prestiti contratti nel periodo emergenziali, dal peso schiacciante dei debiti verso fornitori (dovuto al sovrapporsi del riscadenzamento di vecchi debiti e dalla contrazione di nuovi per il riavvio dell’attività) e, diciamolo pure, dalle dilazioni di debiti fiscali e contributivi?
Arrivando al punto, nel corso di questi mesi abbiamo assistito all’incremento dell’indebitamento finanziario delle aziende, indotto magari dalla paura dell’imprenditore di non farcela oppure, semplicemente, dalla facilità di ottenimento derivante dall’emergenza sanitaria in atto in seguito all’introduzione di normative di favore per le imprese, viste come un’opportunità a fronte delle difficoltà che strutturalmente caratterizzano l’accesso al credito in periodi di normalità.
Ebbene, prima o poi i nodi verranno al pettine. La “grande abbuffata” al supermarket del debito bancario degli scorsi mesi, tuttora in essere, potrebbe creare l’effetto distorsivo di appesantire eccessivamente l’impresa di uscite finanziarie future, che oggi non vediamo e che, anzi, trovano una contropartita psicologica proprio nella formula dell’aiuto emergenziale, per cui l’imprenditore è portato a pensare che si tratti di un “regalo di Stato”. Con questo non si vuole demonizzare il ricorso al credito con garanzia pubblica, avviato con i decreti legge “Cura Italia” e “Liquidità” ma, semplicemente, si vuole richiamare l’attenzione ad un uso corretto degli stessi: il ricorso agli aiuti non deve mai prescindere da un’opportuna programmazione finanziaria, di cui abbiamo parlato in un precedente intervento, che va costantemente aggiornata e adeguata alle necessità che di volta in volta emergono.