Quello che margine e quoziente di struttura non dicono

Foto: “Bilancio”, di Clauz, da Flickr

Tutti conosciamo la regola della corretta correlazione tra fonti e impieghi, ossia quella per cui l’attivo fisso deve essere finanziato esclusivamente da fonti a medio lungo termine. In caso contrario ci si troverebbe nella deprecabile (e dannosa) situazione in cui i debiti a breve scadenza finanziano parte degli impeghi a ritorno liquido di durata medio – lunga. Risultato: default aziendale, decozione e fallimento. Fine.

E, come già sappiamo, il principale indice di solidità, ossia quello che indica la correlazione tra fonti e impieghi, è il margine di struttura; esso mette a confronto le fonti durevoli (il patrimonio netto e i debiti finanziari a medio – lungo termine) con l’attivo fisso. Se il margine così calcolato assume valore positivo, la correlazione è rispettata.

In dettaglio, possiamo distinguere diverse configurazioni del margine di struttura; eccole di seguito esposte.

Margine di struttura primario: Patrimonio netto – Attivo fisso

Questa configurazione evidenzia se il solo capitale proprio (ossia gli apporti dell’imprenditore più l’autofinanziamento della gestione) sia sufficiente, da solo, a sostenere gli investimenti nell’attivo fisso. Se il valore del margine è positivo, il livello di capitalizzazione è tale da non richiedere interventi del sistema bancario a sostegno delle operazioni di investimento.

Se si vuole tenere conto anche dei finanziamenti di medio – lungo termine effettuati dai soci, il margine di struttura primario può anche assumere la seguente configurazione:

(Patrimonio netto + finanziamenti soci) – Attivo fisso

Se, invece, le configurazioni che precedono evidenziano l’insufficienza del capitale proprio e dei finanziamenti stabili dei soci a sostenere gli impieghi in attivo fisso, si include nell’analisi l’apporto delle fonti finanziarie di terzi con scadenza nel medio – lungo periodo:

Margine di struttura secondario:

(Patrimonio netto + passività finanziarie non correnti) – Attivo fisso

Oppure, eventualmente:

(Patrimonio netto + finanziamenti soci + passività finanziarie non correnti) – Attivo fisso

Se il margine di struttura secondario è positivo, la corretta correlazione tra fonti e impieghi è rispettata.

Come noto, i margini di struttura sopra enucleati possono essere altresì espressi sotto forma di quozienti (o ratios, per gli amanti della lingua inglese) e quindi avremo:

Quoziente di struttura primario:

Patrimonio netto/Attivo fisso

oppure

(Patrimonio netto + finanziamenti soci)/Attivo fisso

Quoziente di struttura secondario:

(Patrimonio netto + passività finanziarie non correnti)/Attivo fisso

oppure:

(Patrimonio netto + finanziamenti soci + passività finanziarie non correnti)/Attivo fisso

Tutto qua? Niente affatto. Ci sono due importanti precisazioni da effettuare.

La prima è banale: il calcolo del margine di struttura è significativo se i valori di bilancio sono rispondenti al vero. Il che equivale a dire che se l’attivo risente di politiche di bilancio finalizzate a occultare perdite, quali ad esempio quella di continuare a contabilizzare a valori di libro immobilizzazioni materiali in realtà soggette a svalutazione (ad esempio per sopravvenuta obsolescenza economica), la realtà potrebbe essere ben diversa. Un esempio servirà a chiarire la questione.

Consideriamo il seguente stato patrimoniale riclassificato:

ATTIVOPASSIVO
Attivo fisso 200Patrimonio netto 100
Capitale circolante 150Debiti finanziari a MLT 150
 Debiti finanziari a BT    100
TOTALE  350TOTALE  350

In tale circostanza avremo, dunque, un margine di struttura secondario pari a:

(PN + DMLT) – AF = (100 + 150) – 200 = 50

Se, tuttavia, metà dell’attivo fisso fosse in realtà costituito da assets obsoleti il cui valore andrebbe svalutato e se ciò non avviene per mere politiche di bilancio, la reale situazione, tenuto conto del fatto che il debito da restituire al sistema bancario è certo, liquido ed esigibile, sarebbe la seguente:

ATTIVOPASSIVO
Attivo fisso 100Patrimonio netto 0
Capitale circolante 150Debiti finanziari a MLT 150
 Debiti finanziari a BT    100
TOTALE  250TOTALE                         250

In tale circostanza avremo, dunque, un margine di struttura secondario pari a:

(PN + DMLT) – AF = (0 + 150) – 100 = 50

Il margine di struttura continua ad essere positivo, ma l’azienda, in realtà, dipende integralmente dai finanziatori esterni; e se ricordiamo l’equazione di Modigliani e Miller circa l’effetto della leva finanziaria sul ROE, dipendere da terzi diventa pericolosissimo se le cose si mettono male. La qualità informativa del margine (o del quoziente) di struttura è dunque correlata al fatto che il bilancio sia redatto in maniera veritiera e corretta; in caso contrario la lettura dell’indice ci porterà ad una visione ingannevole, che verrà sconfessata quando sarà ormai troppo tardi.

Seconda osservazione: la durata del passivo deve essere correlata alla durata dell’attivo. Si immagini che l’acquisto di un nuovo asset sia finanziato mediante un finanziamento decennale. Ipotizzando di avere uno stato patrimoniale di partenza uguale a quello precedentemente illustrato, supponiamo che il nuovo asset abbia un valore di 300, finanziato per il 20% mediante capitale proprio e per l’80% a debito.

ATTIVOPASSIVO
Attivo fisso 200 (+ 300)Patrimonio netto 100 (+ 60)
Capitale circolante 150Debiti finanziari a MLT 150 (+ 240)
 Debiti finanziari a BT 100
TOTALE  650TOTALE   650

Supponiamo tuttavia che il bene acquistato abbia una vita utile di 8 anni, mentre il debito, ammortizzato “alla francese”, presenti all’ottavo anno un residuo di 55. Ipotizziamo altresì, per isolare il fenomeno oggetto di studio, che al termine del periodo di ammortamento le voci dello stato patrimoniale relative al rimanente attivo fisso e agli altri debiti a MLT abbiano gli stessi saldi della situazione di partenza:

Attivo fisso 200 (+ 0)Patrimonio netto 100 (+ 60)
 Debiti finanziari a MLT 150 (+ 55)

In apparenza, avremo un margine di struttura più che rassicurante:

(PN + DMLT) – AF = (160 + 205) – 200 = 165

In realtà, però, ci troveremo nella spiacevole situazione di dover rimpiazzare il bene, che ha terminato la sua vita utile; pertanto, dovremo quanto prima rifinanziare la spesa prima ancora di aver terminato il pagamento del precedente debito! È dunque vero che sebbene nella circostanza esaminata la correlazione tra fonti e impieghi regga, l’eventuale utilizzo della leva finanziaria per il riacquisto dell’immobilizzazione causerà un peggioramento del rapporto di indebitamento.

Ciò dimostra, qualora ce ne fosse ancora bisogno, che al fine di offrire una visione d’insieme della situazione aziendale, gli indici di bilancio vanno letti congiuntamente; entusiasmarsi per la lettura di un singolo dato favorevole potrebbe essere fuorviante e potenzialmente dannoso.

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