Il nuovo Codice della crisi e dell’insolvenza dell’impresa, (in breve “CCII”) ha introdotto il 2° comma all’art. 2086 del Codice Civile, in base al quale sorge l’obbligo per l’imprenditore, che operi in forma societaria o collettiva, “di istituire un assetto organizzativo, amministrativo e contabile adeguato alla natura e alle dimensioni dell’impresa, anche in funzione della rilevazione tempestiva della crisi dell’impresa e della perdita della continuità aziendale, nonché di attivarsi senza indugio per l’adozione e l’attuazione di uno degli strumenti previsti dall’ordinamento per il superamento della crisi e il recupero della continuità aziendale”. Detto obbligo è inoltre specificamente previsto dall’art. 3, comma 2, del Decreto menzionato per l’imprenditore collettivo (società). Ma cosa significa, in concreto, l’obbligo di cui sopra?
In seguito alla crisi finanziaria globale degli anni successivi al 2008, si è assistito in Italia a un significativo incremento del numero dei fallimenti aziendali, a cui ha fatto seguito la restrizione della concessione degli affidamenti da parte delle banche a causa dell’aumento della rischiosità dei propri clienti. Inoltre, l’avvento della pandemia da coronavirus non ha certamente giovato alla situazione già venutasi a creare. Ne è scaturita, a livello legislativo, la necessità di riformare l’ormai vecchia legge fallimentare, privilegiando la fase di emersione preventiva della crisi, piuttosto che la soluzione liquidatoria successiva all’insolvenza. La riforma, inoltre, risponde all’esigenza socialmente avvertita di salvaguardare il già fragile tessuto imprenditoriale italiano.
Dal 15 luglio 2022, dunque, ha assunto piena operatività il CCII, che impone alle società commerciali l’istituzione di un adeguato assetto organizzativo, amministrativo e contabile, finalizzato “anche” alla rilevazione tempestiva dei sintomi di crisi, a chiara dimostrazione del fatto che l’adeguatezza degli assetti organizzativi risponde ad un’esigenza di ordine più ampio ed investe il modo stesso di fare impresa, a prescindere dall’eventualità di una crisi. Inoltre, sia l’esigenza di organizzare adeguatamente l’impresa e di riuscire a cogliere eventuali sintomi di crisi al loro primo manifestarsi, sia quella di farvi fronte immediatamente per accrescere le probabilità di recupero, sono connaturate al “fare impresa”, ossia al mantenimento di un equilibrio economico e finanziario durevole.
È dunque legittimo chiedersi se l’istituzione degli adeguati assetti organizzativi, amministrativi e contabili debba essere considerata come l’ennesimo orpello burocratico imposto dal Legislatore alle imprese italiane oppure se esso possa essere inteso piuttosto come una opportunità di passaggio da una gestione aziendale lasciata, nella maggior parte dei casi, all’intuito dell’imprenditore a una gestione caratterizzata da un approccio manageriale e orientato al controllo finanziario e operativo. Una valida ed efficace organizzazione interna, infatti, è imprescindibile in funzione della rilevazione tempestiva della crisi, per consentire a chi è “al timone della nave” di ottenere tutte le informazioni necessarie per intercettare eventuali aree critiche e predisporre le adeguate strategie per prevenire il fenomeno.
È inoltre spontaneo chiedersi quali possano essere le conseguenze dell’inosservanza dell’obbligo; ebbene, il dovere degli amministratori di società di istituire adeguati assetti organizzativi, amministrativi e contabili ha come conseguenza che la sua eventuale violazione espone gli stessi al rischio di azioni di responsabilità promosse nei loro confronti sia da parte dei soci, sia da parte dei creditori sociali e, nei casi peggiori, da parte del liquidatore giudiziale (l’ex curatore fallimentare) in caso di procedure concorsuali. Infatti, l’art. 378 del CCII ha introdotto un nuovo comma all’art. 2476 del Codice Civile, che prevede che gli amministratori rispondano verso i creditori sociali per l’inosservanza degli obblighi inerenti alla conservazione dell’integrità del patrimonio sociale. Inoltre, è stato introdotto altresì un nuovo comma all’art. 2486 C.C., che prevede che, quando è accertata la responsabilità degli amministratori il danno risarcibile si presume pari alla differenza tra il patrimonio netto alla data in cui l’amministratore è cessato dalla carica e il patrimonio netto determinato alla data in cui si è verificata una causa di scioglimento; oppure, se è già iniziata la procedura concorsuale, alla differenza tra il patrimonio netto alla data in cui si è aperta la procedura e quello alla data in cui si è verificata una causa di scioglimento. Nei casi peggiori, se è stata aperta una procedura concorsuale e mancano le scritture contabili o se a causa dell’irregolarità delle stesse o per altre ragioni i netti patrimoniali non possono essere determinati, il danno è liquidato in misura pari alla differenza tra attivo e passivo accertati nella procedura.
È il caso di correre il rischio e restare inerti?
Il concetto di “adeguato” assetto organizzativo, amministrativo e contabile, tuttavia, va riferito “alle dimensioni ed alla natura dell’impresa”; ragion per cui non può esistere un modello standard applicabile alla generalità delle imprese ma la costruzione delle stesse deve scaturire sempre da valutazioni da farsi caso per caso in base a un criterio di proporzionalità e ragionevolezza. È quasi superfluo dire che l’assistenza di professionisti specializzati è imprescindibile.