Abbiamo visto nel precedente articolo cosa sono e a cosa servono gli “adeguati assetti” previsti dall’art. 3 del nuovo Codice della Crisi e dell’Insolvenza (CCII) e dall’art. 2086 C.C.. Approfondiamo ora la tematica della responsabilità derivante dalla mancata istituzione degli stessi per gli amministratori di SpA e Srl.
Le norme del Codice Civile in tema di amministrazione della società, modificate in seguito all’emanazione del Codice della Crisi e dell’Insolvenza, prevedono per SpA ed Srl che la gestione dell’impresa si svolga nel rispetto della disposizione di cui all’articolo 2086, secondo comma, C.C., che, come ormai sappiamo, prevede l’obbligo di istituire un assetto organizzativo, amministrativo e contabile adeguato alla natura e alle dimensioni dell’impresa, anche in funzione della rilevazione tempestiva della crisi e della perdita della continuità aziendale, nonché di attivarsi senza indugio per l’adozione e l’attuazione di uno degli strumenti previsti dall’ordinamento per il superamento della crisi e il recupero della continuità aziendale. Detto compito spetta esclusivamente agli amministratori (vedi in proposito gli art. 2380 bis, 2409 novies per le SpA e 2475 per le Srl). Riguardo alla responsabilità degli amministratori, invece, intervengono gli art. 2394 (per le SpA) e 2476 (per le Srl), che stabiliscono che gli amministratori rispondono verso i creditori sociali per l’inosservanza degli obblighi inerenti alla conservazione dell’integrità del patrimonio sociale.
Quest’ultima disposizione richiama uno dei principi generali vigenti nel nostro ordinamento giuridico in tema di responsabilità, in base al quale l’aver impedito il verificarsi di un danno equivale a cagionarlo. Sostanzialmente, la negligenza degli amministratori di società nel voler adottare gli “adeguati assetti”, che conduca alla mancata rilevazione tempestiva della crisi e alla dissoluzione del patrimonio aziendale, comporta a sua volta la diretta responsabilità degli stessi amministratori nei confronti dei creditori sociali, danneggiati dal mancato recupero del proprio credito.
Questa, in breve, è la responsabilità di tipo giuridico, che va ovviamente accertata e dimostrata in sede processuale. VI è, però, una ripercussione più immediata dell’omessa istituzione degli adeguati assetti e della mancata tempestiva rilevazione dei segnali di crisi: quella dettata dalla nuova nozione di debitore in default per il sistema bancario. Infatti, nel momento in cui si manifesta la crisi finanziaria aziendale, non intercettata dagli adeguati assetti, avrà certamente l’effetto di comportare un prolungamento delle esposizioni bancarie oltre la scadenza; e quando queste ultime si protraggono oltre i 90 giorni (past due), possono essere sufficienti anche soli 100 euro di debito scaduto per classificare in default non solo il debitore, ma anche i soggetti connessi a quest’ultimo, ad esempio, tramite partecipazioni di controllo o di collegamento, o in caso di sussistenza di società partecipate dal medesimo soggetto economico o, ancora, in caso di eventuali garanzie prestate da una azienda ad un’altra, con la conseguenza che anche il soggetto collegato verrà considerato in default. Inoltre, se la banca che registra il default di un cliente appartiene a un gruppo bancario, anche le altre banche del gruppo dovranno valutare la possibilità di classificare il cliente in default, a prescindere dalla presenza di esposizioni in arretrato. Si viene ad innescare, quindi, una pericolosissima reazione a catena.
In conclusione, i danni derivanti dalla mancata istituzione degli “adeguati assetti” si manifesteranno molto prima che si arrivi a un accertamento giudiziale delle responsabilità degli amministratori, mediante il mancato rinnovo degli affidamenti bancari e mediante le richieste di rientro anticipato dalle esposizioni scadute.
Ancora una volta, ci si domanda: è il caso di rischiare e “mettere la testa sotto la sabbia”?